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Iscrizioni paleocristiane

Le iscrizioni paleocristiane rinvenute nei centri rurali del Lecchese sono poche.
Nel castello di Brivio, durante i lavori di ristrutturazione effettuati nella prima metà del milleottocento, furono ritrovate due iscrizioni frammentarie su lastre di marmo di Musso.
Attualmente sono entrambe esposte al Museo Civico Archeologico di Bergamo.
Una delle iscrizioni è commemorativa. Si tratta di una dedica in prima persona da parte di un Costan[tius] o forse Costan[tinus] oppure Costan[tianus], effettuata il 25 dicembre (VIII Kalendas) di un anno non precisabile. Si ipotizza, comunque, che risalga ad epoca paleocristiana per il contenuto. Non sempre, infatti, le epigrafi sono facilmente databili. Quando il testo non lo permette si ricorre a criteri paleografici, cioè al mutamento nel tempo della forma delle lettere, o a criteri linguistici, che si basano sull'evoluzione della lingua e sul tipo di formulario espresso.
 

iscrizione
 
L'altro frammento di epigrafe ritrovato a Brivio offre, invece, una datazione sulla base dell'indicazione dell'anno consolare. Integrando l'ultima riga
[---] VR CON(sule) con il nome Mavorzio console, si risale al 527, anno in cui Mavorzio, comes domesticorum (comandante della guardia) durante l'impero di Giustiniano (527-565), ottenne la carica. Egli fu l'ultimo console nominato nell'Impero d'Occidente.
 
iscrizione 
 
Epigrafe Pierius
Epigrafe di Pierius (490 d.C.),
Garlate chiesa di Santo Stefano
foto Saini, 2005
Epigrafe Flora
Epigrafe funeraria di Flora (425 d.C.)
da Primaluna, Cortabbio Brescia, Civici Musei
foto Saini, 2005
frammento di lasta
Frammento di lastra orante (IV-V sec. d.C.)
da Milano, Sant'Eustorgio
        

 
L'ara di Brivio

Le iscrizioni sacre e funerarie ritrovate nel Lecchese appartengono principalmente ad are (altari) e provengono quasi tutte dalla zona della Brianza.
Le are di età romana, nella maggior parte dei casi, furono reimpiegate in epoche successive come materiale da costruzione o con altre funzioni, dentro chiese o in loro prossimità, come l'ara di Merate ritrovata durante la demolizione del muro di cinta antistante la chiesa o l'ara di Barzanò, che fungeva da pila per l'acqua santa nella chiesa di San Salvatore. Il loro riutilizzo in edifici sacri cristiani rivela una continuità di culto nella zona, dall'epoca romana a quella paleocristiana e medievale.
Nell'agosto 1955, nel castello di Brivio, fu recuperata un'ara sotto un muro demolito durante dei lavori di ristrutturazione, vicino ai resti dell'antica chiesa.
Sul lato frontale dell'ara è incisa un'iscrizione sacra, attualmente poco visibile, dedicata alle divinità romane Giove, Giunone e Minerva, seguita dal nome dell'offerente, Lutazia, che esprime la sua riconoscenza e ricorda l'adempimento del voto con una formula finale.
L'ara, in serizzo, è databile tra il I e il II secolo d.C.
   


iscrizione ara 

 a Giove Ottimo Massimo a Giunone a Minerva avendolo ben meritato Lutazia Prisca, figlia di Quinto, ha sciolto un sacro voto
 
 
La triade Capitolina e il culto di Giove

 
Il ritrovamento delle are romane è importante sia per il valore documentario del manufatto, sia per il contenuto delle epigrafi su di esse incise. Le iscrizioni concorrono anch'esse alla ricostruzione della storia di un luogo, della società, della religione e della distribuzione dei culti.
Giove Capitolino, la massima divinità del pantheon romano, invocato con gli epiteti di Optimus e Maximus, Giunone Regina e Minerva, divinità aggiunte successivamente, formano la cosiddetta triade venerata sul Campidoglio a Roma.
La definizione di un gruppo di divinità superiori di origine romana e la diffusione del loro culto nelle varie colonie precisa la volontà di Roma di sottolineare la propria supremazia sia politica che religiosa.
Nel periodo della romanizzazione in Cisalpina avvenne un'assimilazione delle divinità locali agli dei provenienti dal mondo religioso greco-romano, senza che si abbandonassero del tutto le tradizioni indigene.
Troviamo, dunque, nelle epigrafi nomi di dei romani accanto ad epiteti propri delle divinità locali. Nell'ara di Barzanò (Ill sec. d.C.), per esempio, vi è una dedica a Giove a cui vengono attribuiti, accanto agli epiteti ufficiali di optímus e maxímus, anche quello di altus summanus, reminescenza del culto preromano del Dio Summano.
Recupero ara di Brivio
Recupero dell'ara romana,
castello di Brivio 1955
Archivio fotografico famiglia Villa
Ara di Brivio
Ara di Brivio dopo il restauro
triade capitolina
Scultura in marmo della Triade Capitolina (fine II- inizi III sec. d.C.)
proveniente da Guidonia (Roma), foto di G. Lattanzi, 1994
          

Un contenitore da trasporto: l'anfora

Negli anni 1976 e 1977, nel cortile del castello di Brivio, durante alcuni lavori di ristrutturazione. fu trovato un deposito di anfore di età romana.
La mancanza, purtroppo, di una documentazione archeologica rende difficile l'interpretazione del ritrovamento. Potrebbe trattarsi, forse, di anfore riutilizzate per drenare il terreno, una pratica diffusa in altre zone fluviali e umide della Lombardia.
Nel mondo romano le anfore, che erano contenitori poco costosi per il trasporto e la conservazione di liquidi e semiliquidi, erano considerate "vuoti a perdere". Una volta svuotate del loro contenuto, non erano più recuperate dal produttore ed erano variamente reimpiegate sia intere che frammentarie. Talvolta erano riusate anche come tubazioni, come segnacoli, come coperture di sepolture o tombe per neonati.
Le anfore di Brivio appartengono a due tipi assai comuni in area cisalpina, la Dressel 6A e la Dressel 6B.

 

Anfora Dressel 6A Le anfore Dressel 6 A, prodotte nel corso del l secolo a.C. fino agli inizi del ll secolo d.C., erano contenitori per trasportare il vino e, in misura minore, anche il garum, una salsa di interiora di pesce.
L'area di produzione di queste anfore comprendeva l'lstria, il Veneto, l'Emilia Romagna e il Piceno.
              Anfora Dressel 6B Le anfore Dressel 6 B erano, invece. adibite al trasporto di olio.
La loro diffusione iniziò anch`essa verso la metà del
I secolo a.C. e durò fino al II secolo d.C.
Il luogo di produzione di questo tipo di anfora è da localizzare principalmente in Istria, ma è probabile che esistessero altre zone di lavorazione nell'Italia
nord-orientale.
  
Le anfore romane, la cui tipologia varia secondo il periodo di produzione, le aree geografiche e, in parte, la derrata trasportata, erano prodotte in serie, realizzando separatamente le varie parti (corpo, collo, anse e puntale) e assemblandole successivamente. Una volta riempita, l'anfora era chiusa con un tappo di sughero o di terracotta, sul quale era colata la pece.
Sul contenitore veniva impresso il bollo, che indicava il proprietario della fabbrica, mentre le iscrizioni, dipinte con inchiostro nero o rosso sul collo o sul corpo dell'anfora (tituli picti), segnalavano il nome del proprietario terriero da cui proveniva il contenuto, o il nome del commerciante all'ingrosso, che distribuiva il prodotto, oppure la natura della derrata alimentare.
Talvolta erano indicati il peso e l'anno di produzione.
Nel corso degli ultimi secoli dell'impero romano, le botti soppiantarono gradatamente le anfore per il loro minore costo di produzione e per la loro maggior capacità di contenimento.
 
iscrizioni anfore ritrovamento anfore rilievo in marmo disegno
Iscrizioni, ora evanescenti, presenti sull'anfora Dressel 6A esposta, trascritte da E. Villa al momento del ritrovamento nel castello di Brivio Particolare del ritrovamento di anfore romane nel cortile del castello di Brivio.
Archivio fotografico famiglia Villa
Rilievo in marmo di epoca romana (II sec. d.C.),
Stockholm, Medelhavsmuseet
Disegno ricostruttivo delle opere di bonifica con anfore
e con palificazione di F.Corni, 2007
Testi, progettazione e coordinamento scientifico: Gian Luigi Daccò e Nicoletta Sfredda - per informazioni: Tel. 039/5320114 - segreteria@comune.brivio.lc.it